Avvocato Domenico Esposito
 

 

  LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DEVE TENERE CONTO DELLE RISULTANZE DEL GIUDIZIO PENALE, ANCHE SE A FAVORE DEL CONTRIBUENTE – SEMPRE OBBLIGATORIO IL CUMULO GIURIDICO DELLE SANZIONI

 

Cassazione civile, sezione tributaria, 16.4.2008, n. 9958

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SACCUCCI Bruno - Presidente -
Dott. SOTGIU Simonetta - rel. Consigliere -
Dott. DI IASI Camilla - Consigliere -
Dott. MELONCELLI Achille - Consigliere -
Dott. MARINUCCI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
(…), elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso lo studio dell'avvocato (…), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (…), giusta delega in calce; - ricorrente -

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso L'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis; - controricorrente –

e contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; - controricorrente –

avverso la sentenza n. 253/01 della Commissione tributaria regionale di Bologna, depositata il 20/12/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/08 dal Consigliere Dott. SOTGIU Simonetta;
udito per il ricorrente l'Avvocato (…), che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il resistente l'Avvocato (…), che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l'inammissibilità e in subordine rigetto del primo e secondo motivo, accoglimento del terzo
motivo del ricorso.

Fatto
(…), commerciante di bestiame, ha proposto opposizione avverso gli avvisi di accertamento per IRPEF - ILOR, relativi alle annualità d'imposta 1991, 1992 e 1993, notificati dall'Ufficio II.DD. di (…), fondati su verbali di constatazione della Guardia di Finanza di Vignola che avevano stabilito a carico del (…), oltre al reddito da fabbricati, un reddito d'impresa pari nel 1991 a L. 1.203.625.000 (a fronte di un dichiarato di L..8.737.000), per il 1992 un reddito d'impresa pari a L. 1.550.930.000, (a fronte di un dichiarato di L. 32.039.000) e per l'anno 1993 un reddito di L. 294.232.000 (a fronte di un dichiarato di L. 36.202.000), importi ricavati da fatture d'acquisto per operazioni inesistenti (e quindi indeducibili come costi, ammontanti a L 598.555.879 per il 1991, a L 970.655.660 per il 1992 e a L 166.531.927 per il 1993), da fatture di vendita emesse dal S. e non contabilizzate, da ricavi non contabilizzati emersi dai controlli bancari, e dal ricarico del 10% su presunti acquisti non contabilizzati.

La Commissione Tributaria Provinciale di Modena ha accolto parzialmente i ricorsi, riconoscendo la deducibilità di costi per complessive L. 75.914.000.

La Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna ha confermato con sentenza 20 dicembre 2001, la sentenza di primo grado disattendendo, come prove inammissibili, le dichiarazioni circa la esistenza di una precedente situazione creditoria nei confronti del S. da parte dei beneficiari degli assegni contestati, prodotti peraltro in copia fotostatica e senza data certa, e non censurabile la discrezionalità amministrativa che aveva presieduto all'applicazione delle sanzioni.

S.G. chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di tre motivi.
L'Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto
Col primo motivo, adducendo violazione dell'art. 111 Cost., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e art. 116 c.p.c., e art. 2729 c.c., oltrechè vizio di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente si duole che non siano state ritenute ammissibili le dichiarazioni dei terzi beneficiari degli assegni, prodotte in sede di risposta al questionario, e quindi facenti parte integrante della documentazione dell'Ufficio, e sia stata ignorato il contenuto della sentenza penale passata in giudicato, che aveva pienamente assolto il contribuente dall'accusa di aver effettuato operazioni oggettivamente inesistenti, avendo constatato che per alcuni anni gli acquisti dei capi di bestiame corrispondevano ad una percentuale dal 50% al 90% delle vendite realizzate, per cui poteva ritenersi che gran parte delle fatture corrispondessero ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, cioè provenienti, attraverso la mediazione di persone interposte preposte, come d'uso, negli acquisti dei capi, da soggetti non correttamente indicati.

Col secondo motivo, adducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e art. 53 Cost., nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente sostiene, sulla base delle considerazioni svolte dal Giudice penale, l'irrazionalità del risultato complessivo dell'accertamento, disancorato dalla capacità contributiva del contribuente accertato, censura sulla quale la Commissione Regionale aveva evitato di esprimersi. Sarebbe inoltre contraddittorio ammettere costi deducibili in ordine ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti. I primi due motivi di ricorso sono fondati nei limiti che saranno appresso indicati.

Con riguardo al primo motivo, pur dovendo correggersi l'espressione usata dalla Commissione Regionale in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei terzi beneficiari degli assegni, prodotte dal contribuente, dichiarazione, valutazione ammissibile sulla base della parità di poteri che devono riconoscersi a tutte le parti processuali (Cass. 4269/2002), va rilevato che la Commissione regionale ha di fatto affermato la inattendibilità di tali dichiarazioni, perchè prive di supporto probatorio adeguato, e tale giudizio non è censurabile in questa sede.

Va invece rilevato, con accoglimento delle doglianze del contribuente sotto tale profilo, che è stata dedotta la sopravvenienza, in sede di appello, di un giudicato penale, ovviamente non esaminato dai primi Giudici, il quale non soltanto afferma la inesistenza solo soggettiva delle fatture oggetto della rettifica, ma propone un riscontro contabile, dal quale risulterebbe una sostanziale corrispondenza (dal 50% al 90% nelle varie annualità) fra le vendite e gli acquisti, come riportati nelle fatture contestate.

Ora, considerate le affermazioni del contribuente, sempre dirette a sostenere la tesi successivamente fatta propria dal Giudice penale sulla base dei riscontri contabili - cioè la oggettività degli acquisti fatturati, secondo gli usi, mediante intermediazione, e quindi la probabile falsità dei soli soggetti emittenti i Giudici d'appello non potevano esimersi dal valutare, nel quadro indiziario complessivo (cfr:Cass. 21953/2007), la portata del giudicato penale, per stabilire, proprio in relazione al rapporto acquisti/vendite, se le operazioni commerciali, oggetto delle fatture, siano state effettivamente poste in essere, e quindi stabilire la reale entità dell'imponibile presumibilmente evaso, considerato che, per giustificare altrimenti tale corrispondenza, i verbalizzanti hanno dovuto ipotizzare un poco comprensibile rincaro su presunti ricavi (e per talune annualità, anche sulle vendite) con un'operazione contabile di dubbia efficacia.

Ciò in quanto, qualora l'Amministrazione fornisca elementi di prova atti ad affermare la falsità di fatture, in quanto emesse per operazioni inesistenti, e il contribuente offra, anche attraverso la produzione di un giudicato penale, validi indizi in senso contrario o quanto meno nel senso della effettiva realizzazione delle operazioni commerciali, anche se con riferimento a soggetti. non correttamente identificati - il Giudice di merito deve prendere in considerazione il quadro indiziario complessivo, al fine di determinare con la maggior probabilità possibile la disponibilità patrimoniale dell'utilizzatore delle fatture, e i limiti della contestata evasione.

Accolti dunque, per quanto di ragione, i primi due motivi, è fondato e va accolto anche il terzo motivo, col quale il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 54, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3 e 12, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha affermato di non poter censurare l'entità delle sanzioni - applicate nel massimo senza giustificazione - perchè subordinata alla discrezionalità dell'Amministrazione, evitando anche di riconoscere l'applicabilità di un'unica sanzione pecuniaria, (eventualmente aumentata fino al doppio), in relazioni ad una pluralità di violazioni commesse in periodi di imposta diversi, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, applicabile retroattivamente.

La doglianza è infatti fondata sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2609/2000) che ha affermato il principio dell'applicazione retroattiva della legge più favorevole, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, con la conseguenza che è obbligatorio, e non discrezionale, il cumulo giuridico di sanzioni relative a violazioni riguardanti anche periodi diversi.

Accolto pertanto complessivamente il ricorso per quanto di ragione, gli atti vanno rimessi per una nuova valutazione da compiersi secondo quanto sopra esposto, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna, che liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2008